Non mi piace fare l’ottimista a tutti i costi. Ma,
parafrasando Sant’Agostino che sosteneva che “il diavolo è solo un modo diverso di
guardare Dio”, intendendo con ciò che la medaglia ha sempre due facce da
osservare con occhi sinceri e soprattutto onesti, senza pregiudizi di sorta,
direi che anche il nostro Made in Italy possa essere valutato secondo diversi
punti di vista.
Da una parte, è vero, stiamo perdendo alcuni nostri pezzi
pregiati. E’ di queste ore che anche "Loro Piana" è finita sotto le “grinfie”
francesi, per esempio. Da questo stesso punto di vista c’è sempre da
considerare la progressiva perdita di credibilità di cui, complice una classe
politica inadeguata, sta ancora soffrendo il nostro beneamato Paese. “Il
modello di specializzazione dell’Italia è molto simile a quello di Paesi
emergenti come la Cina – si legge sull’ultimo rapporto, datato 4 aprile 2013,
dedicato all’Italia dalla Commissione Europea – con la maggior parte del valore
aggiunto in settori tradizionali a bassa tecnologia, principalmente a causa
della limitata capacità innovativa delle imprese italiane”.
Ma, è proprio così? Siamo così scarsi con le nuove tecnologie e siamo così poco
competitivi in termini di innovazione complessiva? Anche qui dipende dai punti
di vista e, soprattutto, dalle lenti del pregiudizio, che condizionano. E non
poco.
E’ stato appena pubblicato un importante e decisamente
sorprendente rapporto (almeno per chi usa gli occhiali sbagliati) realizzato
congiuntamente dalla Fondazione Symbola, da Unioncamere e dalla Fondazione
Edison che si chiama “I.T.A.L.I.A. – Geografie del nuovo Made in Italy” che ci
mostra e dimostra, numeri alla mano, un’Italia diversa.
Intanto, I.T.A.L.I.A., è un acronimo che sta per “Industria,
Turismo, Agroalimentare, Localismo e Sussidiarietà, Innovazione, Arte e Cultura”,
in poche parole i pilastri del Made in Italy, le frecce all’arco del nostro
Paese nei confronti del mondo. Lo studio è corposo e ne consiglio un’approfondita
lettura perché, statene certi, non troverete niente di scontato.
Mi limito a darvi qualche chicca che, spero, vi invoglierà a
cercarlo e a scaricarvelo dal sito di Symbola (www.symbola.net).
Cominciamo con un numero: quasi mille prodotti “Made in
Italy”, nonostante l’indubbia crisi economica che sta investendo l’Italia come
la maggior parte del mondo, generano un saldo commerciale attivo da record di
ben 183 miliardi di dollari! Nel rapporto, infatti, mentre si ammette l’indubbia
difficoltà di cui sta soffrendo il nostro mercato interno, si sottolinea come
non si possano continuare ad adottare parametri obsoleti, quali la quota di
mercato detenuta sull’export mondiale, per misurare la competitività del
sistema produttivo italiano. Se invece prendiamo come indicatore della nostra
competitività la bilancia commerciale dei singoli prodotti, ecco come i
risultati cambiano enormemente ed emergono la creatività e la duttilità del
nostro Made in Italy, con le conseguenti capacità di far fronte, al mutare
degli scenari e ai marosi della crisi economica. Infatti, l’Italia è uno dei
soli 5 Paesi del G-20 (insieme a Cina, Germania, Giappone e Sud Corea) ad avere
un surplus strutturale con l’estero nei prodotti manufatti non alimentari. Ciò vuol
dire che, escludendo l’energia e le materie prime agricole e minerarie, l’Italia
è uno dei Paesi più competitivi a livello mondiale. Stupiti? Eppure, lo dicono
i numeri, vantiamo quasi 1000 prodotti in cui siamo nei primi tre posti al
mondo per saldo commerciale attivo con l’estero. Nel rapporto si usa un’efficace
metafora: quella dell’Olimpiade. Se pensiamo al mercato globale come a un’Olimpiade
e ai prodotti come altrettante discipline sportive in cui primeggia chi ha un
export decisamente migliore dell’import, l’Italia sale sul podio ben 1000
volte! Meglio di noi si comportano solo, e sottolineo solo, Cina,
Germania e USA. Ed è ovvio che, se poi guardiamo esclusivamente all’Europa, il campionato
europeo lo perdiamo solo nei confronti della Germania, noi ben davanti alla
Francia, per esempio, le cui finanziarie stanno facendo shopping dalle nostre
parti.
Se andiamo nel dettaglio, continuando con la nostra
metafora, l’Italia vanta 235 medaglie d’oro (cioè altrettanti prodotti!) per
saldo commerciale. Queste eccellenze del podio ci portano a guadagnare, come
sistema Paese, ben 63 miliardi di dollari. Le “medaglie d’argento”, che sono
390, contribuiscono con ulteriori 74 miliardi di dollari di attivo. Completano
il podio le “medaglie di bronzo” dell’export italiano: 321 prodotti che portano
ancora 45 miliardi di valore complessivo. Da non dimenticare poi i quarti e
quinti in classifica, pur sempre altrettante "eccellenze", che sono ben 492 prodotti, che aggiungono ulteriori 38,4
miliardi di dollari, da sommare ai 183 miliardi dei primi tre classificati.
Basta ciò per essere contenti e soddisfatti? Sicuramente no!
Il rapporto però traccia delle chiare linee guida per le istituzioni e per la
classe dirigente di questo Paese, su quanto l’Italia dovrebbe fare per uscire,
e in fretta, da questa crisi, magari addirittura rinforzata rispetto a prima
del suo esplodere. La ricetta? "L'Italia, deve fare l’Italia” e null’altro! Sarebbe difatti già molto procedere secondo le “nostre corde”, quelle che abbiamo da secoli a
disposizione, grazie alle competenze e alle tipicità accumulate dai nostri
territori. Ciò basterebbe ad accaparrarsi sempre più medaglie d’oro sul terreno
della competitività mondiale, moltiplicando quindi la ricchezza che da queste
si genera e migliorando di conseguenza lo stato di salute della nostra economia.
Mi fermo qui, sperando di avervi solleticato l’interesse per
un approfondimento e per una lettura del rapporto completo che, ripeto, per molti versi potrebbe risultare
sorprendente. Come diceva Thomas Alva Edison: “Se fossimo ciò che siamo capaci
di fare, rimarremmo letteralmente sbalorditi”.
Non avevo dubbi : http://vivalitaliadotnet.wordpress.com/2013/03/30/how-can-the-world-change-to-become-more-like-italy/
RispondiElimina